L’impegno di 500 volontari in tutta la nazione. Il responsabile ucraino Lifanse: con le “scuole della pace” aiutiamo i bambini a vincere i traumi
Ora che i riflettori del mondo non sono più puntati giorno e notte sull’Ucraina, trovare risorse per sostenere i bisogni sempre crescenti è diventato proibitivo. Alle povertà e alle situazioni di disagio precedenti il conflitto si sono aggiunti sfollati interni, famiglie con i papà partiti volontari al fronte e le entrate improvvisamente azzerate. Anziani soli e ammalati senza più gli ospedali di riferimento a causa degli attacchi sulle infrastrutture civili. E bambini senza scuola, quando non rimasti orfani a causa della guerra.
E nel momento più difficile della storia recente ucraina la Chiesa cattolica è riuscita a costruire iniziative di prossimità che dalle grandi città alla prima linea portano un aiuto a chi spesso non ha neanche i mezzi per chiederlo. Lungo tutta la linea del fronte capita spesso di incrociare i mezzi della Caritas, le ambulanze e altri veicoli d’emergenza, gli aiuti umanitari donati dalla Santa Sede, prima con papa Francesco e ora con Leone XIV. E tra i volontari nei luoghi dove a fatica arrivano anche i militari ci sono quelli della Comunità di Sant’Egidio, che in Ucraina ha schierato la più vasta operazione umanitaria della sua storia, raccogliendo attraverso la sua rete internazionale oltre 40 milioni di euro che hanno permesso di fornire, per dare solo un numero, 3mila tonnellate di aiuti alimentari e prodotti di prima necessità. E carichi di farmaci con cui sono state curate fino ad ora più di 2 milioni di persone.
Oltre al sistema di consegna direttamente sui luoghi, ci sono 5 centri aperti ogni giorno per la distribuzione diretta di pacchi alimentari, abbigliamento, prodotti per l’igiene e la cura dell’infanzia, dislocati in tre quartieri diversi di Kiev e poi a Ivano-Frankivsk e Leopoli.
La comunità fondata nel 1968 da Andrea Riccardi, è arrivata sul Dnipro nel 1991. Yura Lifanse, coordinatore di Sant’Egidio in Ucraina, non nasconde le difficoltà e rinnova le richieste di sostegno. Nonostante i rischi, i volontari riescono a consegnare aiuti ai civili che vivono sulla linea del fuoco. In cooperazione con diversi Comuni «consegniamo gli aiuti direttamente alle famiglie, che è il nostro stile. Ascoltiamo i bisogni delle famiglie e rispondiamo alle loro necessità raggiungendole nei luoghi dove si svolge la loro vita».
I volontari sono perfino aumentati. Più di 500 si occupano di mandare avanti i cinque centri di distribuzione fissi, poi altre centinaia si incaricano di raggiungere i luoghi più remoti di un Paese grande il doppio dell’Italia. Non si tratta solo di sostegno materiale. «Ad esempio ci sono le nostre “Scuole della pace” – racconta Lifanse – che attraverso i nostri volontari si stanno dimostrando importantissime per recuperare i bambini, ascoltarli, sostenerli, aiutare i piccoli sfollati interni a integrarsi nelle nuove località. E sono importantissime per continuare ad apprendere nel momento in cui il sistema scolastico deve fare i conti con la guerra». Che non risparmia neanche i luoghi di istruzione.
C’è un obiettivo che si sta realizzando nella quotidianità dell’impegno. «Le nostre vogliono essere “Case della pace” – insiste Yura Lifanse – perché dobbiamo già guardare al domani, nello spirito dell’aiuto e del dialogo all’interno della stessa comunità ucraina. L’odio parla la lingua della distruzione, noi dobbiamo parlare quella di chi deve costruire e ricostruire».
[ Nello Scavo ]