I cardinali hanno visto in Prevost un uomo «nel carattere diverso da Francesco, ma che continuerà i processi da lui avviati». Espressione di un cattolicesimo non aggressivo, ma universale
Una scelta inaspettata eppure "costruita" in breve tempo all'interno del Conclave. Un nome che al di fuori delle gerarchie ecclesiastiche risuonava poco spesso e che invece ha convinto i cardinali elettori in sole quattro sessioni di voto. È difficile, a breve distanza di tempo, capire se l'elezione a Papa di Robert Francis Prevost sia da considerarsi una sorpresa - tale da ammutolire la folla in piazza San Pietro al momento dell'annuncio - oppure il risultato di un maturo processo decisionale del Collegio cardinalizio.
Per farsi un'idea più precisa è bene consultare chi conosce a fondo certe dinamiche ecclesiali, come il professore Andrea Riccardi, fondatore della Comunità Sant'Egidio e storico della Chiesa contemporanea.
Professore, all'annuncio del nuovo Papa, qual è stata la sua prima impressione sulla scelta di Robert Francis Prevost?
«Secondo me il Collegio cardinalizio ha mostrato una forte creatività in una Chiesa che sembrava in difficoltà, come era emerso nei dibattiti prima del Conclave. La creatività di trovare un personaggio diverso come carattere da papa Francesco, ma che allo stesso tempo continuasse la sua opera. Non è un capovolgimento dell'azione di Francesco o una forte correzione, come speravano non pochi. La stessa biografia di Prevost ne fa quasi un secondo Papa latinoamericano perché ha passato vent'anni in Perù, in una regione di miseria e povertà. Poi è anche un americano, in un momento in cui l'America di Trump, al di là della politica, è un modello di vita: "prima me! prima la mia nazione!", è lo slogan che riassume questa visione».
La vede come una scelta politica di contrapposizione?
«No, io non penso solo a Trump come politico, ma penso alla scelta politico culturale rappresentata dalla sua presidenza. Questa scelta politico culturale va di pari passo con la religione della prosperità incarnata dai movimenti evangelicali che noi abbiamo visto raffigurati nella Sala ovale attorno al presidente (mentre lo benedicevano) e alla signora Paula White. Questa religione della prosperità, che è una realtà di più di mezzo miliardo di persone, è l'altro cristianesimo, un cristianesimo che benedice la ricchezza, che promette soddisfazione alle proprie attese di beni temporali, che si fonda su una lettura della Bibbia che chiamerei materialistica».
Eppure anche il nuovo Papa è americano...
«Prevost è americano, ma è un altro americano e in un certo modo rappresenta l'anti-Trump, non perché si confronterà faccia a faccia con Trump, non è un uomo delle contrapposizioni o che cerca lo scontro, ma - come lui ha detto - è un uomo dei ponti, un uomo che rappresenta la Chiesa cattolica. E la Chiesa cattolica non è il "prima io", ma è un "noi universale". Bergoglio, nella sua azione, era uomo che più facilmente si contrapponeva. Ma anche Prevost ha parlato chiaro sull'ordo amoris di Vance. Tuttavia la sua è una forza mite. È anche la forza che viene dalla sua storia: un religioso uscito dal suo Paese, superiore generale di un ordine mondiale, cittadino e vescovo peruviano, divenuto uomo del mondo. Ha una lunga esperienza romana ed europea, latinoamericana, ed esprime una Chiesa cattolica mite, non aggressiva, ma universale».
Vede la sua elezione come un'opzione inaspettata oppure una figura di alta mediazione?
«La maggioranza da raggiungere era altissima, 89 voti, ma il Conclave ha sorpreso per la sua brevità e per l'allineamento su Prevost, nome che era già circolato, ma non in maniera così forte, come per esempio quello del cardinale Parolin. Prevost si è presentato come una candidatura solida, che aveva dei sostenitori, e secondo me i primi sostenitori sono stati proprio i cardinali più vicini alla memoria di Bergoglio. I cardinali americani lo hanno appoggiato, come quelli latinoamericani. Poi rapidamente le altre candidature si sono dissolte. La sua non è l'elezione di qualcuno che invertirà la rotta, ma di chi continuerà quei processi voluti da Bergoglio, solo che li continuerà con un altro carattere. È chiaro che Prevost affronta tutto questo in modo meno "contundente", direi con una grande serenità. È la serenità di chi sa includere. Del resto è abituato a questo dal governo di un ordine religioso, che è un microcosmo di Chiesa. Si è presentato come un Papa di pace e la pace l'ha immediatamente radicata in un discorso cristologico: Cristo è la nostra pace. La fonte del suo agire e del suo parlare è il Vangelo».
Quali significati possiamo attribuire alla scelta del nome di Leone?
«Il nome è totalmente inaspettato e io penso si riferisca alla figura di Papa Pecci e al valore della dottrina sociale della Chiesa, un riferimento importante. Nelle discussioni ecclesiali o sinodali siamo stati presi dai problemi interni della Chiesa. La Chiesa è nella storia, è un segno nella storia, cambia la storia. Lo scopo della dottrina sociale della Chiesa, nata dalla Rerum Novarum, era rispondere ai drammi della storia di allora, alla questione operaia, alle disuguaglianze».
Mettendo dunque in risalto l'aspetto sociale della Chiesa?
«La Chiesa ha la necessità di trovare uno spessore di azione sociale e civile, ma solidale vuol dire anche non essere disgiunti dallo spirituale, bensì generati dalla dimensione spirituale. Oggi il mondo si dibatte tra una cultura woke e una cultura reazionaria e nazionalista. Queste non sono le nostre culture, c'è una cultura evangelica, sociale e popolare di ispirazione cristiana che va rivitalizzata, reinventata. Siamo spesso troppo interni alle questioni ecclesiastiche, anche nei nostri consigli e sinodi. Uscire nella storia vuol dire incarnare il Vangelo, far incontrare il Signore, realizzare opere di fede e di giustizia. C'è bisogno di fare storia, non per il potere della Chiesa, ma per il bene del mondo in una società sbandata, violenta e ingiusta».
Leone XIV è un Papa agostiniano, il primo nella storia. Che tipo di spiritualità potrebbe apportare?
«La grande tradizione spirituale di Agostino, una delle basi del cristianesimo occidentale. Questo Papa, però, non è solo un agostiniano, ma anche un figlio della Chiesa del post Concilio, essendo nato nel 1955, cresciuto sulla scia del Vaticano II. Allo stesso tempo è un Papa radicato nella grande tradizione di Agostino e dei Padri».
Dalle sue prime parole dalla loggia di San Pietro quale programma pontificio le sembra che emerga?
«La mia sensazione è che Leone XIV, al contrario di un mondo che corre, sia calmo e sereno; le parole dell'8 maggio vengono dal cuore, preoccupazioni per la pace, la missione, la comunicazione del Vangelo. Non so, penso che il Papa non farà in fretta un programma, ma prenderà dolcemente e profondamente contatto con le diverse problematiche della Chiesa».
Quali sono le questioni più urgenti che papa Leone dovrà affrontare?
«Prima di tutto farà il vescovo di Roma. E la diocesi di Roma non può essere un'appendice del ministero del Papa, a mio modesto avviso c'è da ripensare il rapporto tra Curia romana e diocesi. Poi ci sono i grandi temi internazionali: un messaggio di pace da articolare. Il mondo si aspetta tanto dal Papa. Ci sono segni impressionanti: il grande dolore per la morte di Francesco, l'attenzione al nuovo Papa anche in un'epoca secolarizzata. Forse sorprendentemente - come diceva Romano Guardini - "la Chiesa si risveglia nelle anime"».
[ Sergio Tosatto ]