Nel mondo cattolico si pesano le parole di Leone XIV e i temi su cui potrebbe prendere posizione. Partendo dalle differenze con Francesco prende forma l'idea di Chiesa targata Prevost
L'interrogativo che rimbalza da una sponda all'altra dell'Atlantico è se Robert Francis Prevost sia di destra o di sinistra . Intanto in Curia si passano al setaccio i temi etici ed ecclesiologici su cui Leone apre o chiude e i media li incasellano secondo la dicotomia progressista-conservatore.
«Dal Concilio Vaticano II in poi, diceva Benedetto XVI, la polarizzazione è diventata tra conservatori e missionari - evidenzia il professor Agostino Giovagnoli, storico dell'Università Cattolica del Sacro Cuore -. Leone è un Papa missionario e, come Giovanni XXIII, unisce la pace del cuore a quella tra le nazioni. La spiritualità agostiniana orienta Prevost a individuare nella pace una dimensione interiore che diventa concretezza» .
Rispetto, poi, alla distinzione carisma-istituzione, aggiunge Giovagnoli, « la Chiesa nell'ottica di Prevost si salva come istituzione se è comunione di fedeli. Pastore e curiale è stato eletto con il mandato di conciliare gli opposti». Per il secondo Conclave consecutivo , il patto di ferro tra episcopati del sud del mondo e Chiesa Usa a trazione ispanica ha espresso il Papa, con conseguente irrilevanza dell'Europa che da centro della cristianità diventa periferia di una Chiesa autenticamente universale. Tra le sfide il boom delle sette evangeliche: il Perù è l'epicentro di quel “supermarket del sacro” che sta dilagando. Si è discusso con preoccupazione nelle congregazioni di un'erosione da 600 mila cattolici all'anno. Ecco, dunque, il lessico familiare di Leone XIV: come parla (e cosa pensa) il nuovo Papa.
Nella nuvola di parole di Francesco si stagliano: Chiesa in uscita, pastore con l'odore delle pecore, ospedale da campo, patto educativo, discernimento, misericordia, portavoce di chi non ha voce, difesa degli invisibili. Il Magistero di Robert Francis Prevost si fonda, invece, su altre espressioni cruciali: ministero di autorità, disarmo, umiltà, perseveranza, nelle mani di Dio, incontro, senza paura, pace, essere missionari, patria, presenza, popolo fedele . Dentro il linguaggio del “new Pope” è racchiuso il suo progetto di Chiesa.
«Pace è la prima parola pronunciata dalla Loggia delle Benedizioni - osserva Marco Impagliazzo, ordinario di Storia contemporanea all'Università Roma Tre, presidente della Comunità di Sant'Egidio e membro del dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita -. La formula “pace disarmata e disarmante” evoca lo “spirito di Helsinki”, cioè l'accordo del '75 (in piena guerra fredda) nel quale la Santa Sede ebbe un ruolo fondamentale favorendo una visione della sicurezza fondata sulla cooperazione tra gli Stati. Ma richiama anche l'incontro interreligioso promosso ad Assisi nel 1986 da Karol Wojtyla». Il motto di Prevost è tratto da Sant'Agostino: «Sebbene noi cristiani siamo molti, nell'unico Cristo siamo uno».
C'è poi la questione sociale, aggiunge Impagliazzo, « Leone XIII difendeva gli operai sfruttati dalla rivoluzione industriale di fine 800, Leone XIV quelli il cui posto di lavoro è messo a rischio dall'Intelligenza artificiale ». Per il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex presidente Fuci, « Prevost esorta ad attualizzare l'insegnamento dell'enciclica Rerum novarum . Da Chicago alla diocesi peruviana di Chiclayo, ha sperimentato le contraddizioni e le disuguaglianze tra nord e sud del mondo, incluse le potenzialità e i pericoli delle nuove tecnologie in termini di dignità umana e di lavoro». Sostiene Miguel Diaz, teologo della Loyla University ed ex ambasciatore Usa presso la Santa Sede: «Francesco parlava della globalizzazione dell'indifferenza, ora abbiamo bisogno non solo simbolicamente ma praticamente di leader, non solo religiosi, ma anche politici che si facciano carico della complessità. La dottrina sociale della Chiesa, è alla base dell'essere cristiano. Non è opzionale bensì essenziale».
[ Giacomo Galeazzi ]